Il boom dell’IA nei colloqui di lavoro, sogno di efficienza o incubo di disumanizzazione?
Immaginate di sedervi di fronte a un intervistatore, cercando di fare la migliore impressione possibile. Ma c’è un problema: l’intervistatore non è umano. Sembra realistico, parla in modo fluido, ma c’è qualcosa di inquietante. È una macchina. Questo scenario, che un tempo sembrava fantascientifico, è ora sempre più comune.
Un recente sondaggio di Resume Builder rivela che il 40% delle aziende prevede di utilizzare intelligenze artificiali per i colloqui di lavoro entro il 2024. Non parliamo solo di algoritmi che analizzano CV, ma di veri e propri avatar digitali, allenati su modelli di linguaggio avanzati, capaci di condurre interviste come se fossero esseri umani. Questo fenomeno sta rivoluzionando il modo in cui i candidati vengono selezionati, ma sta anche sollevando serie preoccupazioni.
Un colloquio disumanizzato
Secondo numerose testimonianze, interagire con questi selezionatori robotici può essere un’esperienza straniante. Una persona intervistata dal The Guardian ha raccontato di essere stata interrotta più volte dall’IA durante il colloquio, senza la possibilità di completare le sue risposte. “È stato come parlare con un muro”, ha affermato, spiegando come mancasse del tutto quel sottile scambio umano fatto di sguardi, gesti e cenni di approvazione.
In un mondo in cui il lavoro è sempre più un bene prezioso e la competizione per un posto cresce esponenzialmente, essere intervistati da una macchina toglie quel tocco personale che può fare la differenza. “Non sapevo se stavo andando bene”, ha detto un altro candidato. “Non c’era nessun feedback umano, nessun sorriso o annuire che potesse darmi fiducia”.
AI: vantaggi e pericoli
Da un punto di vista operativo, l’intelligenza artificiale offre innegabili vantaggi alle aziende: efficienza, riduzione dei costi e tempi di selezione rapidi. I recruiter robotici possono esaminare migliaia di candidature in pochi secondi, identificando rapidamente una rosa ristretta di candidati ideali. Tuttavia, una volta passato questo primo screening, il processo decisionale dovrebbe tornare in mano agli esseri umani, o almeno così dicono gli esperti.
Eppure, i rischi sono evidenti. I sistemi di intelligenza artificiale, per quanto avanzati, non sono immuni da bias. Gli algoritmi possono riprodurre e amplificare discriminazioni preesistenti, basandosi su dati passati che potrebbero essere intrinsecamente distorti. Ci sono già stati casi in cui determinate categorie di persone sono state svantaggiate in fase di selezione a causa di bias legati a genere, etnia o età.
Le start-up dell’ AI Recruiting
Intorno a questo fenomeno, si è sviluppato un vero e proprio ecosistema di start-up. Alcune aziende assistono i datori di lavoro nell’uso dell’IA per i colloqui, altre aiutano i candidati a superare il filtro dei selezionatori digitali. Siti come Sonara o Massive automatizzano l’invio dei CV, mentre piattaforme di consulenza offrono suggerimenti per aggirare gli algoritmi di screening. Su TikTok, ad esempio, circolano trucchi su come far sembrare il proprio curriculum un “match perfetto”, inserendo la descrizione del lavoro in bianco su sfondo bianco, così da ingannare gli algoritmi.
Ma cosa significa tutto questo per chi cerca lavoro? Se da un lato le aziende vedono in queste tecnologie una risorsa per ridurre i tempi di selezione, dall’altro i candidati rischiano di essere intrappolati in un gioco in cui l’intelligenza artificiale stabilisce chi ha diritto di competere e chi no, basandosi su criteri spesso discutibili e incomprensibili.
Regole e normativa: una barriera necessaria
In Italia, il Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022) ha introdotto obblighi informativi specifici per i datori di lavoro che utilizzano sistemi decisionali automatizzati. Questo decreto, insieme al GDPR e allo Statuto dei Lavoratori, mira a proteggere i diritti dei lavoratori contro i rischi che l’IA può rappresentare. Il Garante per la Privacy ha ribadito la necessità di trasparenza, imponendo che ogni lavoratore venga informato se il suo datore di lavoro utilizza strumenti di intelligenza artificiale per valutarne le performance o assegnare compiti.
Tuttavia, il problema non è solo normativo. Come ha dichiarato l’inventore italiano Federico Faggin, “l’unica certezza dell’intelligenza artificiale è che non capisce ciò che decide”. I sistemi di IA sono capaci di calcolare, ma non di pensare. Nelle risorse umane, un settore delicato in cui non si gestiscono solo numeri ma persone, questo è un limite fondamentale. La decisione umana, basata su intuizione, empatia e comprensione delle emozioni, non può essere sostituita da un algoritmo.
Il futuro del lavoro: umani e macchine in equilibrio
L’uso dell’intelligenza artificiale nel processo di selezione del personale è destinato a crescere, ma la sua applicazione deve essere attentamente regolata e bilanciata. È necessario che il controllo umano resti un fattore centrale, soprattutto per garantire che i lavoratori siano valutati con equità e rispetto della loro dignità.
Il futuro del lavoro potrebbe essere segnato da una collaborazione tra uomini e macchine, dove l’efficienza dell’intelligenza artificiale si combina con la sensibilità umana. Ma spetta a noi, come società, decidere se vogliamo un mondo in cui i colloqui di lavoro sono freddi e meccanici, o uno in cui la tecnologia è al servizio delle persone, senza mai sostituirle.
Maria Abate
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