Prof. Guzzetta su traffico illecito di influenze: il legislatore giacobino fa l’antidoping, ma non disciplina le competizioni
Considerazioni molto critiche nei confronti della disciplina del reato di “traffico di influenze illecite” sono state espresse durante il convegno dal titolo IL CONFINE TRA LECITO E ILLECITO NELLA RAPPRESENTANZA DI INTERESSI. IL PROBLEMATICO INQUADRAMENTO DEL REATO DI TRAFFICO DI INFLUENZE, organizzato in collaborazione tra Open Gate Italia, l’Accademia degli Studi Legali e il Master Processi decisionali e Lobbying e disciplina anticorruzione in Italia e in Europa dell’Università di Tor Vergata.
L’incontro, cui hanno partecipato studiosi, avvocati, magistrati e lobbisti, ha, tra l’altro, esaminato il progetto di riforma dell’Art. 346-bis del codice penale, contenuto nel ddl così detto “spazzacorrotti” proposto dal ministro Bonafede.
In particolare, in apertura dei lavori, Giovanni Guzzetta, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Tor Vergata, Presidente di Open Gate Italia e Presidente dell’Accademia di studi legali, ha contestato il vizio del legislatore italiano di intervenire sulla materia della rappresentanza di interessi, che in tutte le democrazie più avanzate costituisce un’attività riconosciuta e lecita, senza una disciplina generale, ma attraverso norme punitive per le ipotesi di abuso da parte degli operatori.
In particolare il prof. Guzzetta ha dichiarato: “Con il solito provincialismo italiano, il legislatore anziché affrontare sistematicamente la disciplina di un’attività, ormai riconosciuta universalmente come una delle forme in cui operano le democrazie contemporanee, ha deciso di prenderla in considerazione solo sotto il profilo delle eventuali patologie. E’ come se anziché disciplinare le attività sportive, si dettasse solo la normativa antidoping. Per giunta – continua il prof. Guzzetta – il legislatore scrive le norme in modo tale che nessuno riesca a capire quali siano le attività dopanti e quali no. Ci si augurava che con il ddl anticorruzione, il Ministro Bonafede avrebbe ascoltato le critiche che sono piovute praticamente da tutti gli operatori: non solo i lobbisti, ma anche i giuristi che da anni denunciano l’oscurità della norma penale sul traffico di influenze.
Non contento, il Ministro Bonafede anziché chiarire la normativa, la rende ancora più evanescente e incomprensibile togliendo l’unica certezza che c’era, ossia che per esserci traffico influenze ci dovesse essere quantomeno un comportamento illecito del pubblico funzionario coinvolto nel rapporto con l’autore del reato. Ma anche questo appiglio alla realtà oggi rischia di scomparire e rimangono solo una sfilza di avverbi (indebitamente, illecitamente) che però rimangono appesi, perché cosa sia debito o indebito, lecito o illecito non sta scritto da nessuna parte. Una norma penale in bianco degna della peggiore tradizione dei regimi giacobini e totalitari.”