Weekly Pills
I fatti salienti della settimana
12 – 16 settembre
“Hungary is not a full democracy anymore”
Con 433 voti favorevoli e solo 123 contrati (più 28 astenuti), il Parlamento europeo approva la relazione in cui l’Ungheria viene accusata di non essere più una “democrazia compiuta”. Secondo il rapporto, Budapest costituisce una “minaccia sistemica” ai valori dell’Unione, in virtù del “regime ibrido di autocrazia elettorale” che si è consolidato nel Paese, dove si svolgono elezioni ma manca il rispetto di norme e standard democratici.
In particolare, i punti che preoccupano Bruxelles sono l’indipendenza della magistratura, la corruzione, i conflitti di interesse, la libertà di espressione – compreso il pluralismo dei media , la libertà accademica, di religione, di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle minoranze (tra cui le persone LGBTIQ) e di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.
Con la relazione, il Parlamento europeo chiede di attivare l’articolo 7 del TUE, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’UE (tra cui il diritto di voto in seno al Consiglio) in caso di violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi fondanti dell’Unione. Inoltre, domenica la Commissione europea potrebbe annunciare il taglio del 20% degli aiuti comunitari all’Ungheria.
La vicenda irrompe nella campagna elettorale, soprattutto alla luce del fatto che gli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia non hanno votato a favore del rapporto.
Giorgia Meloni si schiera apertamente con Budapest, sostenendo che l’Ungheria “è un sistema democratico” e Orbán “ha vinto le elezioni, più volte anche con ampio margine” e che “i modelli dell’Est sono diversi dal nostro […] perché fino agli anni ’90 li abbiamo abbandonati sotto il giogo sovietico. E ora dovremmo dargli una mano”. Il leader leghista Salvini minimizza (“mi occupo di Italia e vorrei salvare i posti di lavoro in Italia, lascio ad altri occuparsi di Ungheria”), mentre Forza Italia si schiera a fianco dell’UE e Berlusconi avverte gli alleati: “se dovessero andare in direzioni diverse noi non staremo nel Governo”.
Dal centrosinistra, per il segretario dem Enrico Letta il voto di Lega e FdI all’Europarlamento “è gravissimo”, mentre per il presidente di +Europa Riccardo Magi “FdI e Lega sostengono la non-democrazia illiberale ungherese”. Il segretario di Azione Calenda si dice favorevole a “cacciare” l’Ungheria dall’Unione, mentre il leader 5 Stelle Conte, pur sottolineando come “non spetta a nessuno distribuire patenti di legittimazione democratica”, accusa Lega e FdI di aver “votato a favore di una svolta illiberale e autarchica del governo di Orbán”.
Il Governo vara il decreto Aiuti ter
Il Governo vara il terzo Decreto Aiuti, che stanzia 14 miliardi per sostenere famiglie e imprese di fronte al caro bollette.
Tra le misure principali, emerse dalle bozze circolate al termine del Consiglio dei Ministri – tenutosi nella tarda mattinata di venerdì – vi sono l’aumento del limite ISEE (da 12mila a 15mila euro) per usufruire del bonus bollette, l’estensione del credito di imposta alle PMI e la proroga per le imprese energivore e gasivore per il quarto trimestre 2022, la proroga del taglio delle accise sui carburanti fino a fine novembre, la conferma delle garanzie statali sui prestiti alle imprese in crisi di liquidità. Vi sono poi nuove disposizioni a sostegno di scuole, cinema, teatri ed enti che gestiscono servizi per la disabilità per far fronte al costo delle bollette.
Inserita nel provvedimento anche una nuova disciplina, più restrittiva, in materia di delocalizzazioni e un bonus una tantum di 150 euro, che sarà corrisposto a novembre, per i lavoratori con redditi lordi annui inferiori a 20mila euro (circa 22 milioni di persone).
Aiuti bis, martedì l’approvazione definitiva
Mentre il Governo lavora sul terzo decreto Aiuti, le Camere si avviano alla conclusione dell’esame del Decreto Aiuti bis, non senza attriti e difficoltà.
Il testo emerso dal Senato in prima lettura presenta infatti una inattesa novità, la deroga al tetto di 240mila euro per gli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione. La disposizione, di cui nessuno si assume la paternità, sorprende Palazzo Chigi: con una nota di Palazzo Chigi viene espresso il “forte disappunto” del Presidente del Consiglio, formula istituzionale per dire che Draghi non era informato e la deroga introdotta dal Senato lo ha profondamente irritato.
Il Governo decide di correre ai ripari, presentando alla Camera un emendamento soppressivo che viene approvato ad ampia maggioranza, appena 24 ore dopo l’approvazione del testo dal Senato, dalla Commissione Bilancio. Il testo, approvato in seconda lettura da Montecitorio nel tardo pomeriggio di giovedì, torna ora a Palazzo Madama, dove martedì sarà approvato in via definitiva.
Fondi russi, tensione tra i partiti (ma per ora l’Italia ne è fuori)
Secondo un report dell’intelligence statunitense, dal 2014 la Russia ha finanziato con oltre 300 milioni di dollari partiti ed esponenti politici di più di venti Paesi, anche in Europa.
Nonostante le rassicurazioni che Draghi ha ottenuto dal Segretario di Stato americano Antony Blinken (“l’Italia non fa parte del rapporto”), la questione alimenta tensioni tra le forze politiche.
Il Ministro degli esteri Luigi Di Maio, che invoca la costituzione di una Commissione di inchiesta “sui rapporti tra leader e partiti italiani e la Russia”, attacca la Lega e Salvini, ricordando “l’emendamento soppressivo che la Lega aveva presentato [nel 2018] per eliminare la norma che disponeva il divieto, per un partito italiano, di ricevere soldi da governi o da altri enti di Stati stranieri. Perché la Lega voleva ricevere soldi da governi o altri enti stranieri?”.
Il Segretario del Carroccio minaccia querele e replica dicendosi “tranquillissimo. Mai chiesto o preso soldi dall’estero”, mentre gli alleati Meloni e Berlusconi contrattaccano: “l’unica cosa certa è che per anni l’Unione Sovietica ha finanziato il PCI”.
Intanto, audito dal COPASIR nella mattinata di venerdì, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Franco Gabrielli, conferma che al momento “non ci sono riferimenti a partiti o leader politici italiani nei dossier americani”.
Salvini-Meloni, è polemica sullo scostamento di bilancio
Proseguono le polemiche, anche interne al centrodestra, sulla necessità di uno scostamento di bilancio. Per Salvini è urgente intervenire immediatamente con uno scostamento di 30 miliardi altrimenti “l’emergenza non si argina”, e attacca Giorgia Meloni: “non capisco ritardi e tentennamenti”.
La leader di Fratelli d’Italia, contraria al ricorso allo scostamento di bilancio, ribatte infastidita “è qualche giorno che mi sorprendono alcune dichiarazioni di Salvini, e mi sorprende il fatto che a volte sembri più polemico con me che con gli avversari”. Tiepido anche Berlusconi, per il quale “creare nuovo debito è una misura estrema che dobbiamo fare di tutto per evitare”.
PNRR, Ue e aborto, è scontro tra Letta e Meloni
Nel primo, e probabilmente unico, confronto elettorale tra leader di coalizione (se si esclude il dibattito “di gruppo” a Cernobbio), Enrico Letta e Gioria Meloni, intervistati dal Corriere della Sera, si scontrano su molti temi, dalla politica estera all’immigrazione, dal PNRR ai diritti civili.
La leader di Fratelli d’Italia vorrebbe rinegoziare il PNRR (“il governo socialista portoghese ha portato una proposta di modifica e Gentiloni l’ha trovata interessante”), lasciare all’Unione europea solo “le grandi questioni, mentre quelle più prossime a noi lasciamole agli Stati nazionali”, abolire il reddito di cittadinanza (che ha “messo sullo stesso piano chi è in condizione di lavorare e chi no”) e invoca “una missione europea per trattare con i Paesi del Nord Africa, a cominciare dalla Libia [per] impedire la partenza dei barconi, aprire gli hotspot e valutare in Africa chi ha diritto di essere rifugiato”.
Meloni ribadisce poi con forza la necessità di una riforma costituzionale (in chiave semipresidenziale, “ma non mi impicco sul modello”) e risponde all’accusa di voler smantellare il diritto all’aborto, sostenendo di non voler “abolire né modificare la 194. Voglio solo che sia applicata la parte sulla prevenzione”; su unioni e adozioni gay “le unioni civili vanno bene così. Sono contro le adozioni dei gay, non perché io sia omofoba, ma perché ai bambini sfortunati va garantito il massimo, cioè un padre e una madre che diano stabilità”.
Di segno opposto le posizioni del segretario dem, secondo il quale la rinegoziazione del PNRR darebbe “l’idea di essere inaffidabili”, il reddito di cittadinanza andrebbe rivisto e non cancellato, la riforma costituzionale auspicata da Meloni le garantirebbe “pieni poteri” e sui diritti civili le posizioni sono “radicalmente diverse”.
I due leader sono invece sulla stessa linea per quanto riguarda la difesa dell’Ucraina e la necessità di introdurre un tetto al prezzo del gas a livello europeo.
Draghi chiude a un secondo mandato
Nel corso della conferenza stampa di presentazione del Decreto Aiuti ter, Mario Draghi chiude la porta ad un secondo mandato, dichiarando la propria indisponibilità.
Coglie la palla al balzo il PD, secondo il quale le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dimostrano come “la proposta di Renzi e Calenda”, che vorrebbero confermare Draghi a Palazzo Chigi, “non esiste”.
Presentando le misure di quello che sarà – con tutta probabilità – l’ultimo provvedimento del suo Esecutivo, Draghi tocca moltissimi temi, dall’Ucraina (“le sanzioni funzionano”) all’energia (“il rigassificatore di Piombino è essenziale”), passando per l’affaire fondi russi (“La democrazia italiana è forte, non si fa battere dai nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati”) e la decisione dell’Europarlamento sull’Ungheria (“noi abbiamo una certa visione dell’Europa, difendiamo lo stato di diritto”).
In conclusione, Draghi lascia aperto uno spiraglio sulla delega fiscale, rimasta bloccata al Senato e quindi destinata a decadere: “C’era un accordo con tutte le forze politiche. Il governo ha mantenuto la sua parola. Tutte le forze politiche, tranne una che non ha mantenuto la sua parola e non l’ha votata […] Casellati, mi ha detto che proverà a convocare la capogruppo la prossima settimana per vedere se si può calendarizzare la delega fiscale in Senato. Quindi ancora un filo di speranza c’è”.
Ucraina e gas, il discorso sullo stato dell’Unione di von der Leyen
Sostegno all’Ucraina e contrasto alla crisi energetica. Sono questi i due temi centrali del discorso sullo stato dell’Unione che la Ursula von der Leyen tiene di fronte alla plenaria di Strasburgo nella mattinata di mercoledì.
La Presidente della Commissione europea ribadisce come “la solidarietà dell’Europa nei confronti dell’Ucraina rimarrà incrollabile. […] Con armi. Con fondi. Con l’ospitalità per i rifugiati. E con le sanzioni più dure che il mondo abbia mai visto”, e alla fine “Putin fallirà e sarà l’Europa a prevalere”.
Von der Leyen ha annunciato una serie di misure – che la Commissione proporrà agli Stati membri – volte a combattere la crisi energetica causata dal conflitto russo-ucraino, tra cui un tetto ai profitti delle imprese che producono energia elettrica a basso costo, dal quale si stimano ricavi per 140 miliardi di euro. Rimane invece “al vaglio” il price cap, il tetto al prezzo del gas che ancora divide i Paesi dell’Unione, mentre è ormai necessaria, secondo la Presidente, “una riforma profonda e onnicomprensiva del mercato dell’energia elettrica”.
Von der Leyen apre anche alla convocazione di una convenzione europea per valutare la revisione dei trattati Ue, come richiesto dal Parlamento.
UE, confermata a Google la multa di 4 miliardi per abuso di posizione dominante
Il Tribunale dell’Unione europea (secondo organo giurisdizionale dell’Ue insieme alla Corte di Giustizia) ha confermato la multa inflitta a Google dalla Commissione europea per aver imposto restrizioni illegali ai produttori di dispositivi mobili Android e agli operatori di reti mobili per consolidare la posizione dominante del suo motore di ricerca. La multa, originariamente di 4,34 miliardi di euro, è stata ridotta a 4,12 miliardi.
L’accusa rivolta all’azienda americana è quella di aver sfruttato Android (sistema che, nel periodo dell’indagine, dal 2015 al 2018, era installato su oltre il 70% dei dispositivi mobili dell’UE) per favorire illegalmente il motore di ricerca Google e i propri servizi.
Venerdì 16 settembre, ore 18:00