8 – 12 maggio
“Vorrei fare una riforma il più possibile condivisa, ma io la faccio comunque”. Laconiche le parole di Giorgia Meloni in tema riforme che, come era prevedibile, creano scompiglio tanto nei confronti delle opposizioni che in seno alla maggioranza. Sebbene l’incontro tra Elly Schlein e Giorgia Meloni sia stato caratterizzato da rispetto e reciproca gentilezza, non c’è intesa politica – e anche questo era facilmente prevedibile.
Sul premierato, la Meloni immagina “una riforma che varrà per tutti e per la quale domani potrei paradossalmente essere ringraziata da qualcuno” ma la Schlein è stata categorica: “noi diciamo no all’uomo o alla donna soli al comando”. Posizione, quest’ultima, che potrebbe (vagamente) trovare d’accordo anche parte della maggioranza: Riccardo Molinari, Capogruppo della Lega alla Camera, ha dichiarato che “Giorgia Meloni pensa all’elezione diretta del premier: se ne può discutere, a patto di avere garanzie sul ruolo del Parlamento”.
Anche l’autonomia differenziata rischia di diventare terreno di scontro tra il Carroccio e Fratelli d’Italia. Le elezioni europee, tra un anno, metteranno gli alleati gli uni contro gli altri e FdI vuole evitare che la Lega arrivi alle urne forte di un voto a favore dell’autonomia. Per finire, anche nel Terzo Polo il clima è tutt’altro che sereno: se Calenda auspica un coordinamento tra l’opposizione, la Capogruppo di Italia Viva, Raffaella Paita, è netta: “nessun coordinamento con i 5 Stelle. Siamo fedeli alla linea di chi ha votato per il Terzo Polo: elezione diretta del premier e superamento del bicameralismo”. La strada delle riforme si mostra, insomma, irta di ostacoli.
Se quella tra Italia e Francia fosse una partita di calcio, sarebbe appena cominciato il secondo tempo. Dopo l’attacco di Darmanin è la volta di Stéphane Séjourné, eurodeputato e segretario generale del partito di Macron. Il numero due di Renaissance ha accusato Giorgia Meloni di “fare tanta demagogia sull’immigrazione clandestina: la sua politica è ingiusta, disumana e inefficace”.
Se Matteo Salvini, già indignatosi a causa di Darmanin, ha replicato a mezzo Twitter “toni inaccettabili e offensivi”, la Meloni ha imputato le dichiarazioni francesi a problemi di politica interna. Del resto, Séjourné aveva ha poi aggiunto “l’estrema destra francese prende per modello l’estrema destra italiana. Si deve denunciare la loro incompetenza e la loro impotenza”,
Stessa linea di difesa della maggioranza per quanto riguarda le dichiarazioni di Yolanda Dìaz. La Vicepremier spagnola ha infatti attacco il decreto lavoro italiano, accusando il Governo di “governare contro lavoratori e lavoratrici per tornare al modelli dei contratti spazzatura”. La Dìaz ha poi aggiunto che “è stato fatto qualcosa di peggiore, l’abolizione del reddito di cittadinanza”, accusando quindi Vox, il partito d’opposizione iberico, di voler fare lo stesso. “Non è questo il modo di collaborare”, ha sentenziato Antonio Tajani “le difficoltà elettorali del suo partito non giustificano offese ad un partner e alleato europeo”.
Un’altra perdita per il Partito Democratico: dopo Enrico Borghi ha lasciato anche Carlo Cottarelli, che ha formalizzato le proprie dimissioni dal Senato nel pomeriggio del 9 maggio. A Cottarelli hanno fatto storcere il naso l’elezione a segretaria di Elly Schlein e lo “spostamento del PD in un’area lontana dai miei valori liberaldemocratici”. Di che valori si tratta? Energia nucleare, termovalorizzatore, superbonus, utero in affitto e alcuni aspetti del Jobs Act. Ma “il tema fondante”, ha spiegato l’oramai ex Senatore, “è il ruolo del merito nella società e il peso che debba vere l’uguaglianza delle opportunità rispetto all’uguaglianza redistributiva”.
Impossibile da digerire, dunque, la scomparsa del merito dal documento dei valori 2023 (e dalla mozione presentata dalla Schlein per la candidatura alla segreteria). Nonostante la differenza di vedute, Cottarelli ha affermato di aver apprezzato lo spostamento a sinistra del PD, il cui messaggio “è più coerente con quello che dovrebbe avere un partito di sinistra”. Coerente, sì, ma non abbastanza per far tornare Carlo Cottarelli sui suoi passi.
Nonostante non fosse semplice mettere assieme tutti i pezzi del puzzle, è andato anche il secondo round delle nomine. Giorgia Meloni vince sul fronte Rai, con le dimissioni (non senza un filo di polemica) di Carlo Fuortes che, senza più maggioranza in Cda, fa un passo indietro (“sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico”) e la nomina di Roberto Sergio a nuovo AD. Sergio, peraltro, sarà affiancato da Giampaolo Rossi, nuovo DG, fedelissimo della Premier. Un punto anche per la Lega, con Vittorio Pisani, vicino al ministro Piantedosi, nuovo Capo della Polizia. E poi Andrea De Gennaro (da ufficializzare nel prossimo Cdm) nuovo Comandante della Guardia di Finanza.
Niente sgarbo al leghista Giorgetti, in Giappone per il G7; vincono un po’ tutti, insomma, nella maggioranza, in attesa di scoprire i destini di Rfi e Trenitalia.
Nuove polemiche attorno a Francesco Lollobrigida, intervenuto agli Stati generali della natalità. “Non esiste una razza italiana ma esiste una cultura, un’etnia italiana”. Queste le dichiarazioni del titolare dei Via XX Settembre, con il “ci risiamo” delle opposizioni a far da eco. “Prima la sostituzione, ora l’etnia? Ma basta. Se il Ministro non è in grado, come pare, lasci”, ha sbottato Filippo Sensi, mentre più ironica è stata la risposta di Simona Malpezzi, che via twitter ha chiesto al Ministro “le mie figlie hanno padre tedesco, nonna croata, bisnonna olandese e un’altra estone. Come me le classifica?” Eppure, dichiarazioni a parte, un problema di denatalità esiste: lo ha sottolineato con schiettezza Giancarlo Blangiardo, Presidente ISTAT: “spariranno 11 milioni di persone”, con pesanti ricadute sul PIL e sugli studenti, come hanno evidenziato i ministri Giorgetti e Valditara.
E poi c’è la “protesta delle tende”, con gli studenti che si scagliano contro il caro affitti. Il Cdm ha dato via libera allo stanziamento dei 660 milioni per gli alloggi universitari previsti dal PNRR ma la mobilitazione, partita da Milano ed estesa a Pavia, Padova, Firenze e Roma arriva in altre città italiane: Venezia, Bologna, Perugia, Trento. Nel mentre, l’UDU, il sindacato studentesco, si dice insoddisfatto (“le risorse del PNRR stanno andando a favore di studentati privati”) e rivendica il diritto alla casa, e quindi allo studio, per i fuorisede.
I lavori sulla riforma della delega fiscale proseguono ma si segnalano scetticismi da Confindustria. La strada comunque è quella giusta, assicura Carlo Bonomi, ma deve diventare più “strutturale”, ovviamente in attesa della prossima legge di bilancio.
I principali dubbi di Confindustria sono stati sottolineati da Emanuele Orsini, Vicepresidente per il Credito, la Finanza e il Fisco in audizione nella Commissione Finanze della Camera: “il tema delle coperture finanziare per l’attuazione della riforma fiscale è poco decifrabile”. Poi “una flat tax incrementale difficile da attuare” e dubbi sull’Irap e sulle misure di riduzione del cuneo fiscale, che “devono essere affiancate da interventi di riduzione del prelievo fiscale sulle persone fisiche”.
La carne al fuoco è tanta, tra riforma dell’Irpef, gli interventi su tredicesime, famiglie, natalità per proseguire con il taglio delle microimposte ma il vero banco di prova ci sarà in autunno. La prima verifica sulle risorse a disposizione si avrà infatti con la Nadef, che porrà le basi per la prossima manovra finanziaria.
Circa sei milioni e mezzo di elettori in poco meno di 600 comuni: le elezioni si terranno domenica 14 e lunedì 15 maggio. Diversi gli obiettivi di Governo e opposizioni: se il centrodestra mira a confermare quanto ottenuto a settembre, il centrosinistra vuole verificare l’alleanza PD-M5S e verificare “l’effetto Schlein”. Per comprendere l’importanza di questo appuntamento elettorale basti pensare alle parole di Davide Baruffi, responsabile Enti Locali del PD: “questo appuntamento può dare un senso di inversione di tendenza rispetto alle politiche“.
Ancona e Brescia i comuni “test”, che il centrodestra vuole strappare all’opposizione, mentre a Vicenza, al contrario, è il Terzo Polo a tentare la beffa al centrodestra. Diversi gli atteggiamenti dei vari leader: mentre Meloni, Salvini e Tajani hanno condiviso il tour elettorale, come ad Ancona, Conte e Schlein si sono mossi separatamente, non incontrandosi mai. Resta da vedere come andrà a “colorarsi” l’Italia a partire da martedì 16.
Mentre Sergio Mattarella, da Oslo, ribadisce la vicinanza all’Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky è atteso a Roma tra sabato e domenica. Dovrebbe incontrare la presidente Meloni, il Papa e lo stesso Mattarella che, durante il dialogo con il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre, ha espresso la speranza che “a Mosca tornino elementi di razionalità”. Dal canto suo, il premier norvegese condivide 200 km e il mare con la Russia, per cui la soluzione deve necessariamente essere politica, perché quella militare non può esserci. Pur non trovandosi nell’Ue, la Norvegia è tra i fondatori dell’Alleanza Atlantica e condivide le preoccupazioni sulla sicurezza in Europa, minacciata dalle azioni russe. È necessario, già da ora, pensare alla fase post-bellica, quando il conflitto giungerà a termine.
Venerdì 12 maggio, ore 16.30